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Immagine del redattoreAlberto Leproni

Orientatore è colui che vede il capolavoro dietro i puntini

Il mondo del lavoro seleziona in modo spesso spietato, la scuola giudica molto e poche volte valuta solo. È la situazione in cui, come orientatori, ci si trova a lavorare nella maggior parte dei casi. Detto e consolidato che il punto debole del sistema scolastico è che si chiede ai ragazzini delle medie di immaginare in modo quasi cristallino il proprio futuro, quando invece si conoscono appena i propri talenti, la questione sulla carta è: come capire effettivamente cosa sono capace a fare e cosa mi piace? C’è differenza o no ? Se fossimo in matematica l’equazione sarebbe semplice: mi piace fare una cosa, mi riesce bene, lo capisco dagli ottimi risultati quindi la farò da grande. Il problema è che la matematica della vita è un po’ più complessa di quella teorica. Sono veramente poche le persone che capiscono bene e fin da giovani cosa faranno da grandi e poi riescono effettivamente a strutturare e realizzare il loro progetto. I motivi possono essere molto diversi e dipendono in non minima parte dall’universo domestico in cui si cresce. È in questo ambito, infatti, che si comincia a maturare un rapporto corretto o meno con le “osservazioni” del mondo esterno. Ho scelto “osservazioni” perché questo termine racchiude una vasta gamma di significati che spazia dalle critiche costruttive, alle cattiverie passando per le constatazioni fino ad arrivare alle valutazioni e ai giudizi. Più è sano, corretto e consapevole questo percepito, migliore e più facile sarà la vita. Cosa che capita molto raramente: un conto infatti è affrontare una questione, un altro dare giudizi sulla persona. Spesso e volentieri si dice a scuola che un voto non fa una persona. Va bene, ma il voto dice quanto quella persona conosce quell’argomento o possiede o meno quella determinata competenza. Tu caro allievo mi sarai simpaticissimo, ma se non conosci un argomento devo dirtelo, con il sorriso o meno ma se non lo faccio e ti do la sufficienza solo perché mi sei simpatico o ti voglio togliere dai piedi perché, viceversa, mi stai antipatico, ti faccio un torto. Il guaio è che oggi si tende a dire: mi è simpatico quindi è competente, una tara che nel mondo del lavoro è tutt’altro che poco diffusa, alla faccia della professionalità. Sì, perché io posso avere un amico simpaticissimo, di cui mi fido più di mio fratello, perché dice le cose chiare in modo che lo stia ad ascoltare senza offendermi, ma questo non fa di lui il mio medico di fiducia o il mio broker. Compito nostro come orientatori è proprio colmare questa lacuna: evitare di esprimere un giudizio sulla persona e valutare solo ed esclusivamente le capacità tenendo conto della persona che c’è dietro ma facendo emergere punti di forza e di debolezza, accogliendoli senza giudicare ma aiutando il cliente ad accettarli in modo sereno. In pratica dobbiamo riuscire a vedere il capolavoro potenziale di una persona dietro i puntini che ci fa intravedere nell’analisi dei suoi bisogni.

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